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6 febbraio 2023
7 minuti di lettura
Fra leggi e trasformazioni varie, la termodinamica è da molti ritenuta noiosa o particolarmente ostica e, anche in virtù di questo, è spesso la principale branca della fisica a scatenare le imprecazioni più fantasiose. Che piaccia o no la termodinamica rimane però un argomento mediamente gettonato al test di ammissione e fra i diversi esercizi da affrontare, quelli riguardanti il lavoro potrebbero risultare problematici in assenza di qualche dritta.
Può essere quindi utile rivedere i principali aspetti che regolano il lavoro nelle trasformazioni più frequenti: questo ci porterà anche a ripassare anche alcuni concetti teorici e magari scoprire che, in fondo, la fisica del calore non è poi così “fredda”.
Innanzitutto, partiamo dall’inossidabile e sempre attuale primo principio della termodinamica: esso afferma che in una trasformazione termodinamica la variazione di energia interna di un sistema è uguale alla differenza fra il calore assorbito (o ceduto) dal sistema e il lavoro compiuto. Questo, tradotto in soldoni, lo scriviamo come ∆U = Q – L, equazione valida per qualunque trasformazione nella branca della termodinamica, da non scordarsi mai, per nessun motivo al mondo (tatuatevela sul costato, magari in stile logo degli Iron Maiden). Ricordiamoci inoltre che il lavoro L è positivo se compiuto dal sistema (si verifica un aumento di volume), mentre è negativo se compiuto sul sistema. Questa è una convenzione: è così, punto e stop.
Facciamo un esempio: quando gonfiamo un palloncino, l’aria che soffiamo fuori compie un lavoro positivo su ciò che la circonda (pareti interne del palloncino), e infatti il palloncino espande il suo volume. Se poi lasciamo libero il palloncino già gonfio, l’aria inizierà ad uscire perché “spremuta” fuori dalle pareti dello stesso. Il lavoro qui è compiuto dall’ambiente circostante (palloncino) sull’aria e, per questo, sarà considerato negativo. Questo ci porta anche ad affermare che un lavoro compiuto comporta sempre una variazione di volume.
Fin qui tutto chiaro, ma ora, cosa si intende esattamente per “trasformazione termodinamica”? Un sistema termodinamico viene descritto da una manciata di proprietà macroscopiche misurabili, che prendono il nome di variabili di stato. Esse sono, ad esempio, il volume V, la pressione P e la temperatura T del sistema. Il sistema si dice in equilibrio quando, ad eccezione di interventi esterni, le sue variabili di stato non cambiano, e una trasformazione viene definita come il passaggio che porta un sistema da uno stato di equilibrio a un altro. In alcune trasformazioni particolari, però, determinate variabili di stato rimangono di volta in volta costanti; andiamo dunque a vedere quanto vale il lavoro nei diversi casi, ricordandoci sempre ∆U = Q – L.
ISOCORE Considerate, per esempio, le bombole di gas che alimentano il vostro fornelletto da campeggio: in questo caso il volume del sistema non è modificabile, poiché le pareti del contenitore sono rigide. A qualunque trasformazione andrà incontro il gas nella bombola, essa sarà una trasformazione isocora, ovvero a volume costante. Questo, per la definizione di lavoro che abbiamo visto poche righe sopra, corrisponde a una situazione in cui il lavoro compiuto è nullo: perciò avremo L = 0. Nessuna variazione di volume, nessun lavoro compiuto: semplice e chiaro.
Ora, facendo sempre riferimento a ∆U = Q – L: se il lavoro è nullo, nelle isocore dovrà essere ∆U = Q, ovvero la variazione di energia interna sarà uguale esclusivamente al calore scambiato (assorbito o ceduto dal sistema). Riscaldando il gas (fornendo calore) nella bombola chiusa, dunque, avremo un aumento della sua energia interna (∆U è positivo perché il calore Q è positivo se assorbito: altra convenzione!).
ISOTERME Nel caso una trasformazione avvenga invece a temperatura costante, essa è detta isoterma. Ora, ∆U è sempre direttamente proporzionale alla temperatura del sistema, varia sempre e solo con essa: se T è costante, come in questo caso, allora la variazione di energia interna sarà nulla.
Ricordiamoci sempre ∆U = Q – L (iniziamo a ripeterci, non vi pare?). In questo caso possiamo scriverlo come 0 = Q – L e perciò per le isoterme avremo che il lavoro L è uguale alla quantità di calore scambiato: Q = L.
ADIABATICHE Le adiabatiche sono invece trasformazioni che avvengono senza scambio di calore: immaginate di riempire il thermos che portate sulle piste da sci con una certa quantità di gas e, in qualche maniera, comprimerlo o espanderlo. In questo modo, essendo il contenitore costruito con pareti isolanti, in qualunque modo operiate la quantità di calore scambiata con l’ambiente circostante sarà nulla.
Ora, ricordiamoci sempre ∆U = …vabbè, ormai non c’è più gusto a dirlo. In questo caso il calore scambiato è nullo, dunque Q = 0. Di conseguenza, per le adiabatiche avremo ∆U = – L, ovvero la variazione di energia interna equivarrà al valore negativo del lavoro compiuto. Questo cosa ci dice? All’atto pratico, significa che una compressione adiabatica (L negativo, per convenzione) aumenterà l’energia interna del sistema, mentre un’espansione adiabatica (L positivo) avrà come risultato una diminuzione di U.
ISOBARE Infine, le trasformazioni isobare avvengono a pressione costante e, in questo caso, nessun membro dell’equazione che descrive il primo principio è forzatamente nullo. Tutto quello che dobbiamo ricordarci per questo tipo di trasformazioni, è che L = p∆V, ovvero il lavoro compiuto è uguale al prodotto fra la pressione e la variazione di volume del sistema.
Vediamo ora un paio di esercizi su quanto detto!
ESERCIZIO 1
Durante una trasformazione termodinamica, un gas compie lavoro sull’ambiente circostante e subisce una variazione di energia interna. Quale dei seguenti processi risulta compatibile con questa descrizione?
A. Espansione isoterma
B. Compressione adiabatica
C. Trasformazione isocora
D. Espansione adiabatica
E. Ciclo di trasformazioni
Secondo quanto scritto nell’esercizio, la trasformazione considerata deve apportare una variazione di energia interna al sistema e, inoltre, dev’essere compiuto un lavoro positivo (“sull’ambiente circostante”).
La necessaria variazione di ∆U ci porta innanzitutto a escludere le opzioni A ed E: la variazione di energia interna, infatti, è nulla sia per qualsiasi trasformazione isoterma che per un ciclo di trasformazioni. Questo lo si può dedurre dal fatto che ∆U dipende esclusivamente dalla differenza fra la temperatura iniziale e finale di un sistema. Tornando al punto di partenza (come in un ciclo) le due temperature saranno uguali e non si avrà una variazione di energia interna.
Analizziamo poi il secondo punto, ovvero la presenza di un lavoro positivo. Esso si traduce in un aumento di volume del gas: escludiamo prima di tutto l’opzione C (nelle isocore il volume rimane costante e il lavoro è quindi nullo) e, in ultima analisi, anche l’opzione B (in una compressione è l’ambiente a compiere lavoro sul sistema, non viceversa). Fatte queste considerazioni, l’opzione D risulta dunque corretta: un’espansione adiabatica, infatti, comporta un lavoro positivo e una variazione di energia interna del sistema (quest’ultima negativa). Risposta corretta D.
ESERCIZIO 2
Un gas, avente volume pari a 20 L e pressione di 4⋅10^6 Pa, quadruplica inizialmente il suo volume mantenendo la pressione costante. Successivamente, in una seconda trasformazione, la pressione viene dimezzata mentre è il volume a rimanere costante. A quanto ammonta la somma del lavoro compiuto considerando entrambe le trasformazioni?
A. 24 J B. 240 J C. 410^6 J D. 20 J E. 240 kJ
Cominciamo trasformando il volume iniziale in m^3: sapendo che 1 L = 0,001 m^3 (1 dm^3), avremo 20 L = 0,02 m^3. Ora, la prima trasformazione è isobara (pressione costante), e al termine di essa il volume finale è quattro volte il volume iniziale, ovvero Vf= 4(0,02) = 0,08 m^3. Calcoliamo il lavoro compiuto utilizzando la formula L = p∆V: L = (4⋅10^6) x (Vf-Vi) = (4⋅10^6) x (0,08-0,02) = (4⋅10^6) x (6⋅10^-2) = 2,4⋅10^5 J. La seconda trasformazione, invece, avviene a volume costante: il lavoro in questo caso sarà nullo. Il lavoro totale, perciò equivale interamente a quello calcolato per la trasformazione precedente, ovvero 2,4⋅10^5 J che, espressi in kJ, sono 240 kJ (1 kJ = 1000 J). Risposta corretta E.
Quanto scritto in questa “Pillola Tb” rappresenta buona parte della termodinamica che dovrete portare al test di ammissione: fate vostre queste nozioni e buona fortuna!
Introduzione