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La X che fa la differenza

3 agosto 2022

5 minuti di lettura

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Introduzione

Rispondere o non rispondere? È il dubbio amletico che attanaglia tutti gli studenti che affrontano una prova a crocette, soprattutto se questa è la prova di ammissione alla facoltà dei propri sogni. Gli studenti italiani si trovano ad avere sempre più spesso a che fare con domande multiple choice in ogni ambito della loro vita: dai compiti in classe al liceo, all’esame di teoria per la patente, fino al test di ammissione a tanti corsi di laurea come ad esempio medicina e odontoiatria, veterinaria e professioni sanitarie. I quiz a risposta multipla nascono con l’intento di poter valutare oggettivamente i candidati in base alle proprie conoscenze e alle loro abilità logiche, ma c’è anche un insieme di fattori secondari che possono fare la differenza. Questi fattori cambiano di test in test e dipendono dalle regole del gioco. Tra questi c’è la capacità di gestire il tempo, l’ansia, le procedure burocratiche e soprattutto le domande, per cui non si è sicuri della risposta, da spuntare con una decisa X. Per esempio, se in un test non c’è la penalità per la risposta errata, è imperativo che occorra tentare la fortuna e rispondere sperando di beccare la risposta esatta. Che succede quando invece la penalità per la risposta errata c’è (come nei test dell’area sanitaria)? In questo caso dobbiamo affidarci a qualche numero: molto dipende infatti dal punteggio minimo per l’eventuale accesso, poi, in graduatoria e dal numero di risposte che riusciamo a escludere. Per farvi meglio comprendere quello che intendiamo con “affidarsi a qualche numero” la cosa migliore da fare è prendere ad esempio i punteggi minimi dei test del 2015 (ancora “era Cambridge”) e dei test dal 2016 in poi (“era post Cambridge”). Nel 2015, per il test di medicina e odontoiatria, infatti, il punteggio minimo per ottenere un posto fu di circa 30 punti, mentre dal 2016 in poi, con qualche lieve variazione di anno in anno, la soglia si è sempre aggirata dai 50 punti in su. Perché questa differenza fra le due tipologie di test è così importante? Perché può fare la differenza, per capire come fare uno studio mirato: nel 2015 bastava concentrarsi su una materia e puntare tutto su quello. Ma dal 2016 in poi si è evidenziata la necessità di avere ottime basi su tutti gli argomenti, magari tralasciando approfondimenti impegnativi, se il tempo non è dalla nostra parte. Le domande infatti, si sono mediamente abbassate di livello, permettendo di avere una media nazionale più alta, e perciò diventano sempre più determinanti, i quesiti più difficili. Perché se il test è facile, non è più semplice entrare: la selezione ci sarà comunque, perché i posti sono limitati, ma si alzerà il punteggio, inevitabilmente. Grazie al decreto del test 2022 sappiamo che anche quest’anno l’assegnazione dei punteggi funzionerà allo stesso modo, dunque come per gli anni precedenti ci affidiamo alla statistica. Se rispondessimo totalmente a random alle 60 domande, senza escludere nessuna opzione, il nostro punteggio finale risulterebbe negativo. Ma si può comunque notare come ci sia già un guadagno dovendo scegliere tra 4 e non più fra 5 possibili opzioni, ovvero escludendo una delle risposte che ci sembra improbabile. Quando le opzioni escluse diventano due è consigliabile rispondere, se ci sono tante altre domande con le stesse condizioni e se i quesiti di cui si è completamente certi non risultano abbastanza per ottenere un punteggio sufficiente per passare il test. Tuttavia, queste due situazioni presentano ancora dei rischi non indifferenti ed è comprensibile che qualcuno sia portato ad agire con più prudenza. Tutt’altro, invece, accade escludendo tre opzioni, trovandosi indecisi tra due possibili risposte: la situazione sarebbe decisamente positiva in ogni caso, in quanto il 50-50 è una probabilità molto favorevole. È ovvio che condizione necessaria (ma non sufficiente) perché il discorso statistico regga è che tra le opzioni di risposta escluse non sia presente la risposta corretta, più di una volta è capitato che alcuni nostri corsisti si considerassero discriminati dalla statistica ma in realtà escludessero la risposta corretta, sbagliando la domanda per ovvi motivi. La mente umana, con l’intento di proteggerci, ci porta a ricordare lucidamente gli eventi negativi. Nel caso dei test a risposta multipla, è molto frequente ricordarsi di quella famosa domanda di cui non eravamo sicuri e che, con la solita iella che ci ritroviamo, abbiamo sbagliato. Ciò non avviene perché siamo davvero iellati, ma perché ci ricordiamo molto meglio di quando va male, mentre è molto più piacevole convincersi del fatto che le risposte azzeccate in un 50-50 siano effettivamente il frutto della nostra preparazione. La statistica invece parla in modo molto chiaro: nel momento del dubbio, per quelle domande di cui si conosce l’argomento ma per le quali non si è certi di una risposta, bisogna trovare il coraggio di farsi guidare dal proprio intuito e segnare una crocetta che potrebbe rivelarsi decisiva. Per quanto possa non piacere…la statistica ha sempre ragione! Lanciatevi! In bocca al lupo!