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Qual è la differenza tra HIV e AIDS?

29 novembre 2024

5 minuti di lettura

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Introduzione all'HIV e all'AIDS

Nel 1991, un gesto semplice ma potente riuscì a raccontare una storia di coraggio e rivoluzione contro la discriminazione e la disinformazione che colpivano – e colpiscono tuttora – le persone sieropositive. Il dottor Fernando Aiuti, immunologo, e Rosaria Iardino, una giovane paziente, decisero di scambiarsi un bacio per smentire in modo incisivo un’enorme bufala pubblicata da un quotidiano: l’HIV si trasmette anche con la saliva.

Oggi, a 33 anni di distanza, le fake news sull’HIV continuano a proliferare, alimentate da una conoscenza frammentata o non aggiornata sull’argomento. Una delle credenze più pericolose è che l’HIV non sia più un problema, che ormai sia quasi impossibile infettarsi. Eppure, i dati raccontano una realtà diversa: l’incidenza di nuovi positivi in Italia è in aumento dal 2021, con oltre 2300 nuove diagnosi registrate nel 2023, pari a 4 ogni 100.000 persone. Ma non perdiamoci in numeri e cominciamo dalle basi.

Che cos'è l'HIV?

HIV è una sigla che sta per Human Immunodeficiency Virus, Virus dell’Immunodeficienza Umana. La scelta del nome non è originale, ma sicuramente efficace, infatti questo patogeno attacca le cellule dotate della glicoproteina CD4: macrofagi, cellule dendritiche e soprattutto linfociti T helper. Queste cellule compongono il sistema immunitario e, diminuendo drasticamente di numero a causa dell’infezione, non sono più in grado di proteggere l’organismo da altri microrganismi e dalla proliferazione di alcuni tumori.

Il contagio avviene attraverso il contatto diretto con i fluidi biologici di una persona infetta, nello specifico:

  • Sangue,
  • Sperma e liquido pre-spermatico,
  • Fluidi vaginali
  • Fluidi rettali
  • Latte materno

Le maggiori vie di trasmissione sono quella sessuale e quella “verticale”, da madre a figlio. Anche pungersi con una siringa usata è un comportamento a rischio, ma in ambito sanitario esistono protocolli di sicurezza molto stringenti che hanno abbattuto i contagi con questa modalità, così come ormai è praticamente impossibile venire contagiati con una trasfusione di sangue, perché le sacche vengono screenate con cura.

Tornando alla foto del dottor Aiuti, ribadiamo che il virus NON si trasmette con:

  • Saliva,
  • Sudore,
  • Lacrime,
  • Urine,
  • Punture di insetti 

Il contatto stretto con una persona sieropositiva quindi, inclusi baci e abbracci, o anche starnuti e colpi di tosse, non sono pericolosi, così come non lo è condividere le stesse stoviglie, bagni, palestre, piscine e altri luoghi di convivenza.

Che cos'è l'AIDS?

Nelle fasi iniziali, l'infezione primaria da HIV può essere asintomatica o causare sintomi aspecifici definiti come sindrome retrovirale acuta. Questa sindrome inizia entro 1-4 settimane dall'infezione e dura dai 3 ai 14 giorni. Sintomi e segni sono spesso scambiati per mononucleosi infettiva o sindromi virali benigne non specifiche e possono includere febbre, malessere, stanchezza, dermatite, mal di gola, artralgie e linfoadenopatia generalizzata.

Dopo la scomparsa della sintomatologia acuta, anche senza trattamento, la maggior parte dei pazienti non ha sintomi per un periodo molto variabile, che può durare dai 2 ai 15 anni. In questo lasso di tempo, se non si fa diagnosi e non si inizia una terapia adeguata, il virus continua a replicare indisturbato, portando alla distruzione progressiva dei globuli bianchi.

Quando i linfociti CD4+ scendono al di sotto dei 200/μL, si entra in una fase terminale che prende il nome di AIDS, Acquired Immuno-Deficiency Syndrome, ovvero Sindrome da Immunodeficienza Acquisita

In questo stadio, il sistema immunitario è fortemente compromesso e il soggetto è vittima di numerose infezioni opportunistiche, malattie causate da microrganismi che sarebbero innocui nella popolazione generale, come la polmonite da Pneumocystis jirovecii, la candidosi dell’esofago o il sarcoma di Kaposi, una forma di tumore causata dal virus Herpes Simplex di tipo 8. Anche alcuni linfomi o il cancro invasivo della cervice uterina sono caratteristici dei pazienti con AIDS, perché il sistema immunitario ha anche il compito di limitare la proliferazione delle neoplasie.

Diagnosi e Test per HIV e AIDS

I test più comuni determinano se il paziente sia o meno sieropositivo. Questo termine indica la presenza, nel sangue, di anticorpi contro le componenti dell’HIV, testimonianza inequivocabile del contatto tra il soggetto e il virus.

Questi anticorpi vengono ricercati attraverso una metodica che prende il nome di ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay), ma la sieropositività non si sviluppa immediatamente, necessita di un “periodo finestra” di alcune settimane. Per questa ragione, sono stati sviluppati test diagnostici di quarta generazione, che riducono il periodo di latenza, ricercando anche la p24, una proteina del capside virale che si trova in circolo più precocemente.

Un altro esame che supera l’ostacolo del periodo finestra è la ricerca dell’RNA virale nel plasma. Questo test, basato sull'amplificazione degli acidi nucleici, richiede tecnologie avanzate, quali la reazione a catena della polimerasi inversa (Reverse transcriptase–polymerase chain reaction RT-PCR) ed è tra quelli con i migliori indici di sensibilità e specificità.

Sono anche disponibili i test rapidi, largamente utilizzati per lo screening e consigliati alle donne all'inizio di ogni gravidanza, agli individui positivi ad un’altra infezione sessualmente trasmissibile (IST) e a coloro che abbiano assunto comportamenti a rischio, come rapporti non protetti o lo scambio di aghi già usati.

Il test è strettamente confidenziale, gratuito in molte strutture pubbliche e private e il grande vantaggio risiede nella possibilità di ottenere il risultato dopo 20-25 di minuti. Può essere effettuato su un campione di sangue capillare, ottenuto pungendo il dito, oppure raccogliendo della saliva.

Quando l’HIV viene diagnosticato, bisogna controllare la conta dei linfociti CD4 e i livelli plasmatici di RNA dell'HIV. Questi valori sono importanti per stabilire la prognosi e il trattamento più adeguato.

La viremia riflette il tasso di replicazione del virus: maggiori sono i valori a cui si stabilizza dopo l’infezione primaria, più rapida è la discesa dei linfociti T CD4+ e maggiore è il rischio di infezioni opportunistiche, anche in pazienti asintomatici. È quindi di vitale importanza arrivare ad una diagnosi il prima possibile.

La conta dei CD4 consente di dividere la malattia in tre stadi:

  • Stadio 1: ≥ 500 cellule/μL
  • Stadio 2: 200 a 499 cellule/μL
  • Stadio 3: < 200 cellule/μL. Solo a questo punto possiamo parlare di AIDS.

Trattamenti Disponibili: Antiretrovirali e Oltre

Per capire come agiscono i farmaci a nostra disposizione, dobbiamo fare un rapido excursus su come l’HIV entri nelle cellule e si replichi.

Il virione, la particella virale completa e matura, è dotato di envelope, ovvero un doppio strato fosfolipidico che “si porta dietro” da una precedente cellula ospite da cui è fuoriuscito per gemmazione. Su questo envelope, vengono espresse delle glicoproteine che hanno lo scopo di riconoscere il CD4 e di far fondere tra loro le membrane dell’envelope e del linfocita, permettendo al capside di ritrovarsi nel citoplasma. All’interno di questo core proteico viene conservato il genoma virale, costituito da due copie di RNA a singolo filamento a orientamento positivo, e alcuni enzimi. Tra questi spicca la trascrittasi inversa, che, contravvenendo al dogma centrale della biologia, converte l’RNA in DNA, così che possa essere inserito dall’integrasi nel DNA della cellula bersaglio e lì possa rimanere indisturbato, obbligando l’apparato sintetico del linfocita a produrre le proteine utili per l’assemblaggio di nuovi virioni. 

La terapia antiretrovirale consiste nel combinare 2, 3 o 4 farmaci che agiscano in punti diversi del ciclo replicativo, così da massimizzare l’efficacia e ridurre la possibilità che si sviluppino delle resistenze. Tra le classi farmaceutiche più usate ci sono:

  • Gli inibitori dell’adesione e della fusione → interferiscono con il legame dell'HIV ai recettori CD4+ e ai co-recettori delle chemochine;
  • Gli inibitori della trascrittasi inversa → interrompono la sintesi della catena di DNA;
  • Gli inibitori dell'integrasi → prevengono l'integrazione del DNA virale nel DNA umano;
  • Gli inibitori della capside → interferiscono con il guscio proteico che protegge il materiale genetico;
  • Gli inibitori delle proteasi → inibiscono la proteasi virale, enzima cruciale per la maturazione delle particelle dell'HIV dopo la loro gemmazione dalle cellule infettate;

La terapia antiretrovirale si propone di ridurre la carica virale (livelli plasmatici dell'RNA dell'HIV) a un livello non rilevabile dalla PCR e di ripristinare la conta di CD4 a un livello normale. In questo modo, si mantiene il soggetto in condizioni di immunocompetenza e si scongiura la comparsa di AIDS o di altre patologie correlate. 

Il traguardo più recente raggiunto dalla ricerca, con ulteriori prospettive di sviluppo, è rappresentato dai farmaci cosiddetti long acting. Se ne è parlato all’ultimo congresso nazionale dell’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR), durante il quale è emerso che, grazie a questi nuovi farmaci, che in Italia probabilmente saranno disponibili dal 2025, la maggioranza dei pazienti potrà fruire di trattamenti a rilascio prolungato, con benefici per l’aderenza terapeutica e la qualità della vita.

Prevenzione: Strategie Efficaci contro l'HIV

Al momento abbiamo la possibilità di bloccare il decorso della malattia, senza però essere in grado di eradicarla del tutto, poiché il genoma del virus, sotto forma di DNA integrato tra i geni delle cellule infette, sebbene sotto controllo, lì rimane, pronto ad attivarsi non appena “si abbassa la guardia”. 

Possiamo, almeno, fare qualcosa per prevenire l’infezione?

Da quando il virus è stato isolato (nel 1983) ed è stato identificato come l’agente eziologico dell’AIDS (nel 1984), è subito partita la corsa per la ricerca di un vaccino. Se ne prevedeva la  realizzazione “in un paio d’anni”, come dichiarò Margaret Heckler, segretaria del Department of Health and Human Services degli USA, ma mai previsione fu meno azzeccata. Ancora oggi non abbiamo un vaccino efficace, soprattutto perché la trascrittasi inversa non ha un sistema di “correzione di bozze” come la nostra polimerasi, non è in grado cioè di correggere gli errori di trascrizione, e questo fa sì che l’HIV sia dotato di una elevatissima variabilità spontanea.

Alcuni studi sono in corso su antigeni che possano innescare la produzione di anticorpi neutralizzanti ad ampio spettro, ma per ora dobbiamo affidarci ad altre strategie come la PEP e la PrEP.

La PEP, Profilassi Post Esposizione, è un trattamento farmacologico che ha lo scopo di ridurre la probabilità di contagio. Consiste nell'assunzione di farmaci antiretrovirali per 4 settimane, da iniziare il più precocemente possibile dopo l'esposizione, non oltre le 48 ore. Basta recarsi presso un Centro di Malattie Infettive o presso il Pronto Soccorso di un ospedale, dove verrà valutata l'eventuale indicazione all'assunzione ed intrapreso il percorso appropriato, che, purtroppo, non garantisce una copertura del 100%. Dopo 40 giorni dalla fine del trattamento, bisogna dunque sottoporsi ad un test di quarta generazione per verificarne l’efficacia.

La PrEP, d'altro canto, è la Profilassi Pre Esposizione. Anche lei consiste nell'assunzione di alcuni antiretrovirali, ma stavolta prima di una possibile esposizione, prevalentemente di carattere sessuale. Viene prescritta da un medico infettivologo o immunologo dopo un colloquio informativo, dopodiché il farmaco viene erogato gratuitamente. 

È importante sottolineare che, nonostante la PrEP costituisca un efficace strumento di riduzione del rischio di contagio da HIV, non previene l'acquisizione di altre IST, quali gonorrea, sifilide, infezione da Clamidia, Herpes genitale o epatiti, per le quali è necessario osservare adeguate misure di prevenzione ed effettuare controlli regolari. La PreP va pertanto inserita in un percorso, rivolto a persone ad alto rischio, che preveda interventi combinati di monitoraggio.

Implicazioni Sociali ed Etiche dell'HIV/AIDS

Nonostante i progressi medici, lo stigma sociale associato ad HIV e AIDS rimane un ostacolo significativo. Secondo un sondaggio internazionale del 2021, l'88% degli intervistati ritiene che le persone con HIV siano ancora percepite negativamente dalla società. Questo pregiudizio ha un impatto devastante sulla qualità di vita dei pazienti, portando spesso al sottoutilizzo dei servizi sociali e sanitari, con esiti peggiori di trattamento della patologia, all'isolamento e alla depressione.

Oltre allo stigma correlato alla paura dell’infezione, le persone affette da HIV possono incorrere anche in una forma più subdola, quella dello stigma interiorizzato, in cui un individuo diventa consapevole dello stigma pubblico, concorda con esso e applica a sé stesso gli atteggiamenti discriminanti. E, come se non bastasse, persone sieropositive che fanno parte di gruppi vulnerabili o socialmente emarginati possono sperimentare lo stigma intersezionale, che può aggravare problemi di salute e portare a un'ulteriore emarginazione.

Nel corso degli anni, molte sono state le strategie messe in atto per contrastare le discriminazioni e difendere la dignità dei pazienti sieropositivi. Nel 1990 è stata promulgata la legge 135 “allo scopo di contrastare la diffusione delle infezioni  da HIV mediante le attività di prevenzione e di assicurare idonea assistenza alle persone affette da tali patologie”. Questa legge presenta alcuni articoli sui diritti dei pazienti, tra cui quello alla riservatezza e alla privacy.

Anche l'approvazione da parte di AIFA della rimborsabilità della profilassi pre-esposizione (PrEP) è stato un passo importante per rendere la prevenzione più accessibile, specialmente per le fasce di popolazione a maggior rischio.

A livello globale, organizzazioni come UNAIDS stanno guidando iniziative per ridurre la discriminazione e migliorare l'accesso alle cure. La loro strategia "End inequalities. End AIDS" per il 2021-2026 mira a combattere le disuguaglianze e lo stigma, ponendo i diritti umani al centro delle politiche sanitarie.

Vivere con l'HIV: Qualità della Vita e Supporto

I progressi medici hanno portato a significativi miglioramenti nella qualità della vita: le terapie antiretrovirali moderne sono più efficaci e hanno meno effetti collaterali, permettendo ai pazienti di godere di un’aspettativa di vita sovrapponibile a quella dei soggetti sani 

Un concetto fondamentale è quello di U = U, vale a dire Undetectable = Untrasmittable. Se una persona con HIV si attiene scrupolosamente ad una terapia in grado di abbassare la sua carica virale a livelli non rilevabili per almeno sei mesi, essa non sarà in grado di trasmettere l’infezione. È possibile scegliere, all’interno di una coppia, di non utilizzare il profilattico o la PrEP, concordandolo con il/la partner e consultando l’infettivologo, e si possono avere figli in modo naturale, senza rischi per il nascituro.

Nonostante queste rassicurazioni, l’HIV può rimanere un duro colpo per chi riceve una diagnosi e/o per la sua famiglia, ed è per questo che esistono numerose risorse di supporto, proposte da organizzazioni come LILA (Lega Italiana per la Lotta contro l’AIDS) che offrono counselling, informazioni aggiornate e sostegno emotivo per aiutare le persone con HIV a navigare le sfide quotidiane e a combattere l'isolamento sociale.